Presidio Attilio Romanò Rotating Header Image

C’è un giudice a Berlino, e anche a Reykjavic

riportiamo di seguito un interessante articolo scritto da Alberto Spampinato per www.narcomafie.it

di Alberto Spampinato. Direttore di Ossigeno per l’informazione, osservatorio della FNSI e dell’Ordine dei Giornalisti sui cronisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza

Non è stata un’estate tranquilla per la politica, e neppure per la libertà di stampa. Numerosi giornalisti sono rimasti vittime di minacce, agguati, assassinii, decapitazioni, presunti “suicidi”.
Fatti che fanno gelare il sangue. Per nostra fortuna, nelle stesse settimane ci hanno rallegrato alcune novità positive che fanno sperare una schiarita globale nel cielo dei diritti: una difesa  rafforzata del tanto vituperato diritto di cronaca e del diritto dei cittadini di essere informati correttamente e senza omissioni (anche sulle magagne del potere e dei potenti). Molti non se ne sono accorti, ma a Roma, a Berlino e perfino nella gelida Reykjavic ha cominciato a spirare un venticello caldo dei diritti davvero insperato, portatore di segnali incoraggianti che dobbiamo saper cogliere e incanalare nel modo giusto. Comincerò dalle novità più tristi e amare, per chiudere con quelle più dolci.

In Messico è proseguita l’ecatombe dei narcos che non viene raccontata dai nostri giornali. Cinthia Rodriguez, giornalista freelance che vive molto in Italia, in un bell’articolo che esprime tutta la sua angoscia, ci ha spiegato che oltre 25 mila suoi concittadini sono stati assassinati in tre anni e ci ha dato conto del rapimento di quattro noti cronisti nel paese, all’interno di un carcere in rivolta, dove si era scoperto che alcuni detenuti erano autorizzati a lasciare le celle per compiere raid omicidi per conto dei narcotrafficanti. Vorremmo saperne di più di cosa accade in Messico, dove dall’inizio dell’anno sono stati uccisi undici giornalisti, che si aggiungono ai 53 uccisi dal 2000 al 2009.

E anche in agosto sono arrivate dalla martoriata Calabria notizie di giornalisti minacciati. Ne hanno dato notizia i giornali locali, le agenzie di stampa e vari siti. Sulla stampa nazionale ne ha dato conto solo ”Il manifesto” con un articolo di Matteo Bartocci, che ha due meriti: rompe il silenzio corale dei giornali a diffusione nazionale; inquadra i singoli  episodi nel contesto, come si dovrebbe fare sempre e spesso non si fa. Anche il sito Corriere.it, il 12 agosto, con un articolo di Antonio Castaldo, ha dato un contributo ai nostri sforzi per fare uscire queste notizie dal circuito dell’informazione locale. L’articolo di Castaldo prende spunto dalle minacce a Lucio Musolino, giornalista di Calabria Ora, che ha trovato nella sua auto una tanica di benzina e una lettera minatoria. Castaldo cita il libro di Roberto Rossi e Roberta Mani, “Avamposto”, che racconta la storia di sedici cronisti minacciati in Calabria negli ultimi due anni e ci dice quali notizie scomode su ‘ndrangheta e malapolitica scriveva ognuno di loro. Castaldo sottolinea che Musolino è il dodicesimo cronista minacciato quest’anno in Calabria e aggiunge:
“Prima di Musolino, minacce sono state indirizzate a cronisti di altri giornali e di altre redazioni calabresi. A Saverio Puccio della redazione di Catanzaro del Quotidiano della Calabria, e prima ancora a Riccardo Giacoia della Rai, Giovanni Verduci, Michele Inserra, Michele Albanese e Giuseppe Baldessarro del Quotidiano della Calabria e ancora ai colleghi di Musolino a Calabria Ora Guido Scarpino e Pietro Comito, ai freelance Leonardo Rizzo e Antonino Monteleone, e infine a Filippo Cutrupi, corrispondente da Reggio Calabria del Giornale e del Qn”. L’articolo di Corriere.it si conclude con il disperato grido d’allarme pubblicato dai colleghi di Musolino sulla prima pagina di Calabria Ora: «Presto ci spareranno addosso. Perché capiranno che con le cartucce, le bottiglie incendiarie, le telefonate, le minacce mafiose perpetrate nelle loro più variegate forme non funzionano. Siamo giornalisti calabresi. ‘Infami, bastardi, pezzi di merda’ dicono gli stessi mafiosi intercettati nelle carceri. E siamo tutti esposti. Noi che raccontiamo questa terra, e che la viviamo perché è qui che lavoriamo»
Il caso Calabria, così inquadrato, appare in tutta la sua drammaticità. Fa paura. E bisogna aggiungere che negli stessi giorni è stato minacciato anche il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Giuseppe Soluri. Credo che tutti dovremmo prestare più attenzione a ciò che succede in Calabria, e sollecitare una maggiore attenzione dei grandi giornali e delle istituzioni”.

Ma passiamo alle buone notizie. La prima riguarda il famigerato ddl intercettazioni, meglio noto come “legge bavaglio”. Ricordate, ci avevano giurato che, con qualche modesto ritocco, con le votazioni a tappe forzate, con le maggioranze blindate avrebbe toccato il traguardo prima di Ferragosto. Invece è stato dirottato sul “binario morto”, come ha certificato il presidente Napolitano. Credo sia difficile tirarlo fuori da lì. Eravamo pronti a reagire con grandi iniziative di protesta, con ricorsi alla Corte Europea e con la disobbedienza civile. Non sarà necessario. Ma non disperdiamo questo potenziale di lotta che ha visto scendere in campo centinaia di migliaia di cittadini per difendere un loro diritto. Dobbiamo trovare il modo di usare questa voglia di lottare per difendere altre nobili cause nel campo dell’informazione di cui non c’era tempo di occuparsi.
Un’altra buona notizia è arrivata dall’Islanda, dove è stata approvata una legge sulla stampa che va nella direzione opposta della legge bavaglio e delle proposte avanzate in Italia di sottoporre i blog a una rigida regolamentazione che ne limiterebbe la libertà di espressione. Era stata proposta lo scorso febbraio da alcuni parlamentari che sostengono Wikileaks, il centro di documentazione che ha appena pubblicato una mole di documenti segreti americani che mostrano, fra l’altro, stragi di civili in Iraq e in Afghanistan che erano state negate ai giornalisti. I proponenti erano pochi, ma alla fine la legge è passata all’unanimità. La “Modern Media Iniziative” islandese trasforma il paese nordico in un paradiso mediatico per i blogger e in un porto franco per il giornalismo investigativo di tutto il mondo, la base in cui pubblicare e conservare documenti che in altri paesi sarebbero sequestrati, il paese in cui domiciliare siti internet per sottrarli al rischio di essere sequestrati, chiusi, oscurati. L’Islanda è un paese che sta marciando verso l’adesione all’Unione Europea. I negoziati sono iniziati qualche settimana fa e i principali ostacoli sul percorso di avvicinamento sono la legislazione bancaria e la caccia alle balene, negli ultimi anni ha via via innovato la legislazione rafforzando il diritto di cronaca. Il punto di svolta che ha innescato una legislazione sempre più garantista per i giornali è raggiunto dopo un colossale scandalo: il principale canale televisivo nazionale RUV, si è scoperto, era stato censurato da una della più importanti banche del paese, la Kaupthring.

La terza buona notizia è altrettanto clamorosa, viene dalla Germania, e va anch’essa in direzione opposta a quella della legge: sarà modificato il codice penale per inserire, con una clausola esplicita, il divieto di mettere i giornalisti sotto inchiesta, processarli, sottoporli a perquisizioni e sequestri in seguito alla pubblicazione di notizie riservate o coperte da segreto, anche di fonte giudiziaria o provenienti dai servizi segreti. Il codice penale tedesco prevede già che siano punibili  i funzionari pubblici che rivelano documenti e fatti riservati o coperti da segreto. La modifica ribadirà che se forniscono notizie alla stampa “solo” loro saranno perseguibili e punibili, mentre i giornalisti non saranno tenuti a rivelare la fonte che ha fornito loro le informazioni. La riforma, sostenuta dalla Cancelliera Angela Merkel, dal ministro della Giustizia liberale Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, è stata varata dal consiglio dei ministri. Anche in Germania la svolta è venuta dopo un caso clamoroso. Nel 2006 il mensile politico di Amburgo “Cicero”, sulla base di  documenti riservati dei servizi segreti, aveva rivolto circostanziate accuse ad esponenti politici. Era seguita una severa perquisizione e un’inchiesta giudiziaria contro il giornale ma la Corte Costituzionale aveva condannato l’intrusione interpretando il codice penale nel senso che ora il governo socialdemocratico tedesco ha deciso di rendere esplicito.

E’ il caso di dire, con Brecht, per fortuna “c’è un giudice a Berlino” (e anche a Reykjavik). Ed è un grande conforto visto che la Germania è una delle principali colonne  dell’Unione Europea e, a Bruxelles e Strasburgo, Berlino conta molto più di Reykjavik.

0 Comments on “C’è un giudice a Berlino, e anche a Reykjavic”

Leave a Comment