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Giustizia per Attilio: undicesima udienza

Ringraziamo Tiziana Apicella (Libera Campania, Fondazione Polis) per la preziosa testimonianza.

Napoli, 23 aprile 2012

Oggi, presso la Terza Corte di Assise di Appello del Tribunale di Napoli, il Pubblico Ministero Stefania Castaldi ha delineato con estrema chiarezza e lucidità il quadro probatorio della vicenda che nel gennaio 2005, nel mezzo della faida di Scampia, ha determinato la morte di Attilio Romanò che con i Di Lauro e con gli scissionisti non aveva nulla a che spartire.
Presidente Carlo Spagna e giudice a latere Salvatore Dovere.

Attilio Romanò, 29 anni, incensurato, è stato ucciso il 24 gennaio 2005 in un negozio di telefonia a Capodimonte, dove lavorava come esperto di informatica. Il vero obiettivo dell’agguato era il co-gestore del negozio, Salvatore Luise, nipote del boss Salvatore Pariante, legato al clan degli scissionisti.

Il Pubblico Ministero si sofferma innanzitutto su Attilio, sottolineando come questo processo spieghi come un innocente possa morire e come sia responsabilità etica di chi procede dover rispondere al bisogno di verità e giustizia dei parenti delle vittime.

Sottolinea ancora come ci sia stato un vuoto di attenzione sia da parte della società civile che delle forze investigative e della stessa procura, se si pensa al fatto che solo nel 2002 si è avuto il primo ordine di cattura per Paolo Di Lauro – il capo clan (al quale poi succede il figlio Cosimo) – che è stato ospite fin dagli anni 70′ presso la residenza del clan legato a Cosa Nostra dei Nuvoletta, dedicandosi ai più eterogenei traffici illeciti. Un vuoto culturale e investigativo che avrebbe creato una vera e propria guerra etnica che ha determinato, durante la faida, l’omicidio di 74 persone, violenza efferata e incendi di case.

Ed è proprio in questo periodo che rimangono uccise persone che con la camorra non c’entrano niente. Vittime innocenti.

Il PM Stefania Castaldi sottolinea come i Pariante vivessero con i proventi del clan. Sulla strada del negozio di telefonia c’erano una serie di negozi appartenenti a questa famiglia, affiliata inizialmente al clan Di Lauro e poi passata agli scissionisti. Al civico 24 era sito il negozio di Luise Salvatore, la vittima predestinata perché nipote del boss Salvatore Pariante.
Attilio lavorava in quel negozio. Dalle parole di Luise Salvatore si capisce bene perché Attilio si trovasse lì quel giorno: “Attilio Romanò era un bravissimo ragazzo, molto bravo in informatica per questo gli avevo chiesto di lavorare per me al negozio”. Attilio dal canto suo, afferma con forza il Pubblico Ministero, era un ragazzo che credeva in una Napoli diversa, fatta di persone oneste perché lui era una ragazzo onesto, dalla grande sensibilità e intelligenza.

Il Pubblico Ministero si sofferma, subito dopo, sulla strutturazione del clan Di Lauro, evidenziando una struttura estremamente gerarchizzata e compartimentata, un’organizzazione di tipo terroristico capace attraverso le scelte del direttorio di influenzare la vita di un intero territorio.
Difatti alla domanda fatta a tutti i collaboratori di giustizia orientata a comprendere da chi fosse partito l’ordine affinché si compisse quel delitto a Capodimonte, tutti rimangono stupiti. L’unico a dare ordini era lui, Cosimo Di Lauro. Il fratello Marco subentrò quale capo all’ arresto di Cosimo..

Lombardi, appartenente al gruppo di fuoco dei Di Lauro, ha avuto così l’incarico di organizzare l’omicidio di Salvatore Luise da Ciro Maisto, altro uomo del clan, che ha ricevuto per tramite di Marco Di Lauro, l’ordine di Cosimo Di Lauro. La strategia di Cosimo Di Lauro era quella di fare terra bruciata. Uccidere tutti quelli che erano passati dall’altro lato e bruciare le case abbandonate dagli scissionisti.
Gli appartenenti al clan si vedevano in un appartamento alle spalle del bar Rispoli di Secondigliano, base decisionale e operativa del clan, e lì si stabiliva il da farsi. È in quell’occasione che si fa riferimento ad un bigliettino in cui ci sono una serie di nomi di persone da eliminare. Bigliettino predisposto da Cosimo Di Lauro che sarà visto, secondo le testimonianze, solo da Carmine Capasso, altro uomo del gruppo di fuoco.

A quel punto le persone che dovevano compiere l’omicidio erano stabilite, si tratta di Mario Buono, esecutore materiale e Vincenzo Lombardi autista del motorino .“Pino Pino” nella persona di Giuseppe Valerio sembra essere colui che compì il sopralluogo per accertarsi della presenza del Luise nel negozio dal momento che era l’ unico a conoscerne il volto.

I due killer (Buono e Lombardi) fermi al civico 22 per un sopralluogo volto ad accertare la presenza di telecamere, dal momento che di fronte al negozio era presente una banca, vennero riconosciuti anche da una volante della Polizia che stava pattugliando quella strada, ma che non poté fermarsi a causa del flusso di traffico presente sulla strada.
Ma tra il primo sopralluogo e l’azione omicida accade qualcosa. Luise si allontanò, si recò presso l’altro negozietto che stava aprendo e al civico 24 rimase solo Attilio. Mario Buono non conoscendo il volto del suo obiettivo, sparò sull’unica persona presente nel negozio, Attilio Romanò. Quando la pattuglia riuscì a tornare indietro era ormai troppo tardi.

Solo 15 minuti di tempo da un sopralluogo all’altro e si compie l’irreparabile. Si colpisce un giovane ragazzo che con il mondo del clan, delle faide, del sangue e delle vendette non c’entra niente.
Tutta la dinamica ripercorsa passo dopo passo dal Pubblico Ministero è finalizzata a dimostrare il concorso di più persone nell’omicidio Romanò.
Nel clan Di Lauro c’era spazio di autonomia decisionale. Così il pubblico Ministero, così come l’avvocato della Regione Campania, l’avvocato Ferrari, e l’avvocato del comune di Napoli, avv. Speranza, costituitesi parte civile nel processo, sottolineano la penale responsabilità dei due fratelli: Cosimo e Marco Di Lauro, escludendo la possibilità di violare il principio costituzionale della personale responsabilità della pena.
Il Pubblico Ministero vuole consegnare la verità processuale alla famiglia Romanò che è anche verità etica ed è per questo che chiede l’ergastolo per Cosimo e Marco Di lauro e per il killer Mario Buono per concorso di responsabilità.

L’avvocato De Angelis, legale rappresentante della famiglia Romanò,(a costituirsi parte civile nel processo la sorella Maria, la mamma Rita e la giovane moglie di Attilio Natalia Aprile), nel prendere la parola riporta le parole di Rita, la mamma di Attilio: “ Io sono qui con fatica, ma non posso abbandonare mio figlio. Lui avrebbe fatto la stessa cosa per me”.

Attilio, sposato da pochissimi mesi, era chiamato “Il gigante buono”, aveva un grande senso della giustizia e della legalità. La perdita di Attilio è stata per tutti una tragedia, un dolore infinito, ma ciononostante la famiglia non ha perso la fiducia nella verità e nella giustizia. Il caso inizialmente archiviato è stato riaperto da circa un anno e mezzo perché alcuni collaboratori hanno permesso di fare luce sulla vicenda. Dall’omicidio di Attilio sono passati 7 anni e finalmente ora si è giunti all’accertamento della verità processuale. Oggi si sa chi furono i mandanti e chi fu l’esecutore materiale del delitto.
L’avvocato De Angelis chiede, così come il Pubblico Ministero, tre ergastoli.

Presenti al processo, come ad ogni udienza, la sorella di Attilio e la Mamma Rita. Al loro fianco il coordinamento dei familiari delle vittime innocenti e la Fondazione Pol.i.s. della Regione Campania.

In Maria e in Rita c’è una grande forza. In loro, sicuramente un turbamento implacabile e una ferita mai rimarginata, ma è chiaro ed evidente per chi le guarda con attenzione e con affetto, che nei loro occhi, nella loro determinazione in vista della giustizia, c’è una fonte inconfondibile che alimenta le loro vite, lo stesso carburante che ha alimentato la vita di Attilio, così come dice in una lettera che ha lasciato: “continuerò a vivere con l’unico carburante che conosco: l’ Amore!”.

Il 30 aprile presso il tribunale di Napoli saranno gli avvocati degli imputati a discutere. La sentenza di primo grado è prevista per il 2 maggio.

Tiziana Apicella

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