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Ignazio Cutrò: un siciliano coraggioso

« Io ho una certa pratica del mondo e di quella che diciamo l’umanità e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, chè mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi…E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…». Così scriveva Leonardo Sciascia nel romanzo “Il giorno della civetta” e nella sua Sicilia che lui descrive così bene, vive Ignazio Cutro’ che se fosse stato un personaggio di un suo romanzo sarebbe stato inserito nella categoria degli UOMINI, persone dotate di una percezione della realtà fuori dal comune. Tale percezione spesso deriva dalla loro capacità di comprendere e capire ciò che va oltre i sensi animaleschi dell’essere umano. Vedere oltre gli occhi, sentire oltre l’udito.
Cutrò, imprenditore siciliano è stato sottoposto, assieme alla famiglia, ad un programma speciale di protezione per aver denunciato i suoi estorsori, è entrato nel “vortice” della Giustizia quando gli inquirenti, intercettando alcune telefonate, scoprono che è costretto a sottostare allo scacco mafioso. Da lì la proposta di partecipare alle indagini, ma in assoluto segreto: nessuno saprà che lui sta parlando con gli inquirenti. Poco dopo c’è una fuga di notizie e la sua testimonianza diventa di pubblico dominio. Anche durante il successivo dibattimento, per paura delle ritorsioni, Ignazio nega alcuni aspetti, arrivando perfino ad essere indagato per falsa testimonianza. E’ lì che decide di abbandonare ogni cautela e di raccontare tutto, sia delle vessazioni mafiose, sia della vicenda giudiziaria che lo vede protagonista. Ignazio rimane solo ed isolato, il lavoro si dilegua, non riceve più commesse dai privati né tantomeno dal pubblico. La sua sicurezza oscilla dall’auto di scorta blindata con due uomini armati ad una semplice utilitaria di “latta”. Il primo attentato risale alla sera del 10 ottobre 1999 quando gli fu bruciata una pala meccanica in contrada Canfutino a Bivona (Ag) e Cutrò presentò la prima denuncia contro ignoti. Da quel momento è un susseguirsi di minacce e intimidazioni, fino al 2006 quando Cutrò decide di diventare un testimone di giustizia, denunciando i suoi estorsori. Grazie alla sua testimonianza è partito ad Agrigento uno dei più grossi processi a cosa nostra, “Face Off” nel quale vengono arrestati i fratelli Luigi, Marcello e Maurizio Panepinto e che porta nel gennaio 2011 ad un totale di 66 anni e mezzo di carcere. Tutto questo, condiziona però l’attività imprenditoriale di Cutrò, che non riceve più commesse. Il Confidi, il consorzio di garanzia collettiva dei fidi della Confindustria, che svolge attività di prestazione di garanzie per agevolare le imprese nell’accesso ai finanziamenti, nega la propria garanzia presso il Banco di Sicilia ad Ignazio, ridotto sul lastrico proprio a causa delle sue denunce antiracket. Citando quel diniego, il Banco di Sicilia a sua volta nega l’accesso al credito ad Ignazio, condannandolo al fallimento e addirittura al rischio di perdere anche la sua abitazione. A tutto ciò si aggiunge quella voce insistente quanto purtroppo attendibile, che ai piani alti della cosca abbiano già decretato l’omicidio di Ignazio. Nel giugno 2012, grazie all’intervento della Regione Siciliana riprende la propria attività imprenditoriale, ottenendo un contratto con il Consorzio per le Autostrade Siciliane. Ignazio Cutrò, l’imprenditore di Bivona che ha denunciato e fatto condannare gli estorsori mafiosi, autori degli attentati che tra il 1999 e il 2006 avevano danneggiato i mezzi della sua impresa edile, torna a lavorare. La commessa riguarda un lavoro di manutenzione e messa in sicurezza delle cabine elettriche che alimentano le gallerie di Petraro e Baglio sull’autostrada Palermo-Messina. E’ una vera e propria vittoria riportata dalla società civile nella guerra contro Cosa Nostra. La rinascita di un’azienda che dopo aver fronteggiato la mafia stava combattendo anche contro la burocrazia per ottenere il Durc e’, infatti, un segnale preciso alla criminalità organizzata. L’impresa di Cutrò, a causa dei danneggiamenti, aveva perso il 40% dei mezzi e tutti i lavori, non riuscendo più a pagare i contributi previdenziali e i tributi, fino ad accumulare una cartella esattoriale di 126 mila euro. Una situazione che gli impediva di ottenere il Durc e di partecipare ai bandi per le commesse pubbliche. L’odissea si e’ conclusa grazie all’intervento della Regione, che ha coperto parte del debito.“Grazie alla Regione siciliana, aveva detto l’imprenditore agrigentino in occasione della firma del contratto con il Cas, si apre un’era nuova per i testimoni di giustizia. Per la prima volta, si riesce a far rinascere un’azienda che era stata messa in ginocchio dalla mafia e a dare agli imprenditori che denunciano un forte segnale che le istituzioni sono al loro fianco. Come lui stesso dice: “Oggi non ha vinto Ignazio Cutrò. Hanno vinto i siciliani onesti che ogni giorno combattono contro l’illegalita’ e la mafia. Io e la mia famiglia abbiamo fatto la scelta di restare nella nostra terra. E’ una questione di dignità, la nostra terra va difesa”. Il 19 aprile è stato presentato lo sportello tematico antiracket e antiusura. “L’unione fa la forza e, se riusciamo a stare uniti, possiamo fare qualcosa di buono a vantaggio della nostra terra e a svantaggio della criminalità organizzata”.
La sua storia, aggiornata fino agli ultimissimi sviluppi, sarà raccontata in un libro dal titolo eloquente: “In culo alla mafia. Non cedere alla malavita si può”, edito da Aliberti, che sarà in tutte le librerie a Novembre. Il volume è scritto a quattro mani da Cutrò stesso e dal giornalista e scrittore siciliano Benny Calasanzio Borsellino. Il libro conterrà tutta la sua storia con alcuni stralci inediti, soprattutto sul versante delle indagini a cui ha contribuito in modo decisivo. “Sono felice di poter confermare la pubblicazione di questo libro che avrei sempre voluto scrivere, ma che aspettavo di poter chiudere con un lieto fine, che nel mio caso non poteva che essere il mio ritorno a fare l’imprenditore” ha detto Cutrò. Come ripete sempre lui, “quando attraverserò lo Stretto per lasciare la Sicilia non sarò io ad aver perso, ma lo Stato”.
La sua storia dimostra che non è vero che “La megghiu parola è chidda ca un si dici” ma che si può anzi si deve denunciare, per poter andare avanti a testa alta e con la schiena dritta. Ignazio ha avuto un coraggio doppio oltre a denunciare ha deciso di rimanere e lottare nella e per la sua terra, conoscere la sua storia deve servire a far si che i testimoni di giustizia non siano ombre nel buio e a testimoniare che è possibile vincere questa battaglia e sconfiggere i mezz’uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraquà.

Sonia Mascellino

Giustizia per Attilio: sentenza di primo grado

La Terza Corte di Assise ha condannato oggi all’ergastolo Mario Buono e Marco Di Lauro per l’omicidio di Attilio Romanò, vittima innocente della faida di Scampia, ucciso il 24 gennaio 2005.

Assolto invece Cosimo Di Lauro per non aver commesso il fatto.

La sentenza ha disposto il rinvio del risarcimento dei danni in sede civile, prevedendo una provvisionale di 100 mila euro per i familiari della vittima e di 20 mila euro per la Regione Campania, parte civile nel processo.

Accanto alla Famiglia, la Fondazione Pol.i.s., il Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità e l’associazione Libera.

Per Rita e Maria Romanò, la mamma e la sorella di Attilio, che hanno seguito l’iter giudiziario con grande forza e coraggio, si è giunti oggi ad un primo risultato. Dopo sette lunghi anni finalmente chi ha deciso di farsi giustizia attraverso l’arma della vendetta e della faida uccidendo un innocente è stato inchiodato alle proprie responsabilità. La verità processuale che è anche verità etica è stata consegnata alla famiglia.

Un percorso lungo, ma non ancora terminato. Assolto per non aver commesso il fatto Cosimo Di Lauro, il capo clan. L’uomo della guerra di Scampia. L’uomo delle decisioni.

Altra strada c’è da percorrere per Attilio e per tutte le vittime innocenti delle mafie e della criminalità e, come il “giovane gigante buono” scriveva in una sua poesia, solo “con lo sguardo deciso vivrà il cammino”.

T.A.

Giustizia per Attilio: undicesima udienza

Ringraziamo Tiziana Apicella (Libera Campania, Fondazione Polis) per la preziosa testimonianza.

Napoli, 23 aprile 2012

Oggi, presso la Terza Corte di Assise di Appello del Tribunale di Napoli, il Pubblico Ministero Stefania Castaldi ha delineato con estrema chiarezza e lucidità il quadro probatorio della vicenda che nel gennaio 2005, nel mezzo della faida di Scampia, ha determinato la morte di Attilio Romanò che con i Di Lauro e con gli scissionisti non aveva nulla a che spartire.
Presidente Carlo Spagna e giudice a latere Salvatore Dovere.

Attilio Romanò, 29 anni, incensurato, è stato ucciso il 24 gennaio 2005 in un negozio di telefonia a Capodimonte, dove lavorava come esperto di informatica. Il vero obiettivo dell’agguato era il co-gestore del negozio, Salvatore Luise, nipote del boss Salvatore Pariante, legato al clan degli scissionisti.

Il Pubblico Ministero si sofferma innanzitutto su Attilio, sottolineando come questo processo spieghi come un innocente possa morire e come sia responsabilità etica di chi procede dover rispondere al bisogno di verità e giustizia dei parenti delle vittime.

Sottolinea ancora come ci sia stato un vuoto di attenzione sia da parte della società civile che delle forze investigative e della stessa procura, se si pensa al fatto che solo nel 2002 si è avuto il primo ordine di cattura per Paolo Di Lauro – il capo clan (al quale poi succede il figlio Cosimo) – che è stato ospite fin dagli anni 70′ presso la residenza del clan legato a Cosa Nostra dei Nuvoletta, dedicandosi ai più eterogenei traffici illeciti. Un vuoto culturale e investigativo che avrebbe creato una vera e propria guerra etnica che ha determinato, durante la faida, l’omicidio di 74 persone, violenza efferata e incendi di case.

Ed è proprio in questo periodo che rimangono uccise persone che con la camorra non c’entrano niente. Vittime innocenti.

Il PM Stefania Castaldi sottolinea come i Pariante vivessero con i proventi del clan. Sulla strada del negozio di telefonia c’erano una serie di negozi appartenenti a questa famiglia, affiliata inizialmente al clan Di Lauro e poi passata agli scissionisti. Al civico 24 era sito il negozio di Luise Salvatore, la vittima predestinata perché nipote del boss Salvatore Pariante.
Attilio lavorava in quel negozio. Dalle parole di Luise Salvatore si capisce bene perché Attilio si trovasse lì quel giorno: “Attilio Romanò era un bravissimo ragazzo, molto bravo in informatica per questo gli avevo chiesto di lavorare per me al negozio”. Attilio dal canto suo, afferma con forza il Pubblico Ministero, era un ragazzo che credeva in una Napoli diversa, fatta di persone oneste perché lui era una ragazzo onesto, dalla grande sensibilità e intelligenza.

Il Pubblico Ministero si sofferma, subito dopo, sulla strutturazione del clan Di Lauro, evidenziando una struttura estremamente gerarchizzata e compartimentata, un’organizzazione di tipo terroristico capace attraverso le scelte del direttorio di influenzare la vita di un intero territorio.
Difatti alla domanda fatta a tutti i collaboratori di giustizia orientata a comprendere da chi fosse partito l’ordine affinché si compisse quel delitto a Capodimonte, tutti rimangono stupiti. L’unico a dare ordini era lui, Cosimo Di Lauro. Il fratello Marco subentrò quale capo all’ arresto di Cosimo..

Lombardi, appartenente al gruppo di fuoco dei Di Lauro, ha avuto così l’incarico di organizzare l’omicidio di Salvatore Luise da Ciro Maisto, altro uomo del clan, che ha ricevuto per tramite di Marco Di Lauro, l’ordine di Cosimo Di Lauro. La strategia di Cosimo Di Lauro era quella di fare terra bruciata. Uccidere tutti quelli che erano passati dall’altro lato e bruciare le case abbandonate dagli scissionisti.
Gli appartenenti al clan si vedevano in un appartamento alle spalle del bar Rispoli di Secondigliano, base decisionale e operativa del clan, e lì si stabiliva il da farsi. È in quell’occasione che si fa riferimento ad un bigliettino in cui ci sono una serie di nomi di persone da eliminare. Bigliettino predisposto da Cosimo Di Lauro che sarà visto, secondo le testimonianze, solo da Carmine Capasso, altro uomo del gruppo di fuoco.

A quel punto le persone che dovevano compiere l’omicidio erano stabilite, si tratta di Mario Buono, esecutore materiale e Vincenzo Lombardi autista del motorino .“Pino Pino” nella persona di Giuseppe Valerio sembra essere colui che compì il sopralluogo per accertarsi della presenza del Luise nel negozio dal momento che era l’ unico a conoscerne il volto.

I due killer (Buono e Lombardi) fermi al civico 22 per un sopralluogo volto ad accertare la presenza di telecamere, dal momento che di fronte al negozio era presente una banca, vennero riconosciuti anche da una volante della Polizia che stava pattugliando quella strada, ma che non poté fermarsi a causa del flusso di traffico presente sulla strada.
Ma tra il primo sopralluogo e l’azione omicida accade qualcosa. Luise si allontanò, si recò presso l’altro negozietto che stava aprendo e al civico 24 rimase solo Attilio. Mario Buono non conoscendo il volto del suo obiettivo, sparò sull’unica persona presente nel negozio, Attilio Romanò. Quando la pattuglia riuscì a tornare indietro era ormai troppo tardi.

Solo 15 minuti di tempo da un sopralluogo all’altro e si compie l’irreparabile. Si colpisce un giovane ragazzo che con il mondo del clan, delle faide, del sangue e delle vendette non c’entra niente.
Tutta la dinamica ripercorsa passo dopo passo dal Pubblico Ministero è finalizzata a dimostrare il concorso di più persone nell’omicidio Romanò.
Nel clan Di Lauro c’era spazio di autonomia decisionale. Così il pubblico Ministero, così come l’avvocato della Regione Campania, l’avvocato Ferrari, e l’avvocato del comune di Napoli, avv. Speranza, costituitesi parte civile nel processo, sottolineano la penale responsabilità dei due fratelli: Cosimo e Marco Di Lauro, escludendo la possibilità di violare il principio costituzionale della personale responsabilità della pena.
Il Pubblico Ministero vuole consegnare la verità processuale alla famiglia Romanò che è anche verità etica ed è per questo che chiede l’ergastolo per Cosimo e Marco Di lauro e per il killer Mario Buono per concorso di responsabilità.

L’avvocato De Angelis, legale rappresentante della famiglia Romanò,(a costituirsi parte civile nel processo la sorella Maria, la mamma Rita e la giovane moglie di Attilio Natalia Aprile), nel prendere la parola riporta le parole di Rita, la mamma di Attilio: “ Io sono qui con fatica, ma non posso abbandonare mio figlio. Lui avrebbe fatto la stessa cosa per me”.

Attilio, sposato da pochissimi mesi, era chiamato “Il gigante buono”, aveva un grande senso della giustizia e della legalità. La perdita di Attilio è stata per tutti una tragedia, un dolore infinito, ma ciononostante la famiglia non ha perso la fiducia nella verità e nella giustizia. Il caso inizialmente archiviato è stato riaperto da circa un anno e mezzo perché alcuni collaboratori hanno permesso di fare luce sulla vicenda. Dall’omicidio di Attilio sono passati 7 anni e finalmente ora si è giunti all’accertamento della verità processuale. Oggi si sa chi furono i mandanti e chi fu l’esecutore materiale del delitto.
L’avvocato De Angelis chiede, così come il Pubblico Ministero, tre ergastoli.

Presenti al processo, come ad ogni udienza, la sorella di Attilio e la Mamma Rita. Al loro fianco il coordinamento dei familiari delle vittime innocenti e la Fondazione Pol.i.s. della Regione Campania.

In Maria e in Rita c’è una grande forza. In loro, sicuramente un turbamento implacabile e una ferita mai rimarginata, ma è chiaro ed evidente per chi le guarda con attenzione e con affetto, che nei loro occhi, nella loro determinazione in vista della giustizia, c’è una fonte inconfondibile che alimenta le loro vite, lo stesso carburante che ha alimentato la vita di Attilio, così come dice in una lettera che ha lasciato: “continuerò a vivere con l’unico carburante che conosco: l’ Amore!”.

Il 30 aprile presso il tribunale di Napoli saranno gli avvocati degli imputati a discutere. La sentenza di primo grado è prevista per il 2 maggio.

Tiziana Apicella

Giustizia per Attilio: decima udienza

Il 2 aprile scorso si è svolta la decima udienza a carico di Mario Buono, Cosimo e Marco Di Lauro per l’omicidio di Attilio.

I testimoni chiamati dalla difesa si sono avvalsi della facoltà di non rispondere o hanno dato indicazioni non rilevanti ai fini del processo.
Il collaboratore Vincenzo Lombardi invece conferma la dinamica dei fatti: lui insieme a Mario Buono faranno un sopralluogo nel posto anche per la presenza di telecamere poste nella banca di fronte al negozio.
Il Lombardi inoltre riferisce che una macchina li accompagnerà per il trasporto delle armi disponedo la stessa di un nascondiglio segreto.
Solo molte ore dopo l’omicidio Lombardi e Buono sapranno di non aver ucciso il vero bersaglio ossia il nipote di Pariante.
Inoltre, stando sempre alle dichiarazioni del collaboratore, l’ordine dell’omicidio è stato dato da Maisto Giuseppe, appartenente al gruppo di fuoco dei Di Lauro, il quale a sua volta avrebbe seguito le indicazioni di Marco Di Lauro che disponeva di un biglietto scritto dal fratello Cosimo in cui vi era la lista “nera” delle varie esecuzioni. Tale bigliettino, però, non è mai stato trovato.

La sentenza di primo grado è prevista il prossimo 2 Maggio.

Giustizia per Attilio: nona udienza

Dopo alcuni rinvii, il 13 ed il 15 febbraio si sono celebrate 2 udienze del processo a carico di Mario Buono, Cosimo e Marco Di Lauro per l’omicidio di Attilio.
Di seguito il resoconto di Maria, sorella di Attilio, relativo all’udienza del 15 febbraio, raccolto telefonicamente da Stella:

Sentiti alcuni testimoni, (nominati da altri collaboratori) al momento in carcere per altri reati, che si sono però avvalsi della facoltà di non rispondere.
Interrogato anche Vincenzo Di Lauro, fratello di Marco e già detenuto per altri processi, sentito in quanto persona informata sui fatti il quale però non ha dato informazioni esaurienti limitandosi a negare qualsiasi implicazione. Determinante potrebbe essere, invece, il nuovo pentito Vincenzo Lombardi, alla guida del motorino che porterà l’assassino sul posto il giorno dell’agguato. Verrà ascoltato la prossima udienza insieme ad altri testimoni fra cui il cameriere che pochi minuti prima dell’omicidio porterà il caffè ad Attilio, importante soprattutto al fine di ricostruire la tempistica dei fatti.
Prossima udienza: 2/4/12.

Verso il 24 gennaio…

Ci stiamo avvicinando ad un giorno molto particolare per Attilio e la sua famiglia. Ci teniamo quindi a condividere due brevi ma importanti aggiornamenti:

-L’udienza del processo a carico di Mario Buono, Cosimo e Marco Di Lauro prevista il 12 dicembre 2011 è stata annullata. Pochi giorni fa sono state fissate le date delle due prossime udienze: 13 e 15 febbraio.

-Martedì 24 gennaio alle 18,30 presso la parrocchia di Maria Santissima Dell’Arco a Miano verrà celebrata la messa per ricordare, insieme alla famiglia Romanò, il nostro carissimo Attilio, nel settimo anniversario della sua tragica scomparsa. Nell’invitare tutti a questo importante momento di condivisione, vi lasciamo accompagnare dalle parole di Maria:

“Chi ti ha strappato alla vita ingiustamente non sa che le stelle non muoiono, ma si trasformano in altra energia e questa energia ora vive in ognuno di noi”

Giustizia per Attilio…atto settimo

Il 23 Novembre si è svolta la settima udienza a carico di Mario Buono, Cosimo e Marco Di Lauro per l’omicidio di Attilio.
All’ udienza sono stati ascoltati i collaboratori di giustizia Cerrato Carmine ed Esposito Biagio ed infine il maresciallo dei Carabinieri Lazzari che ha ricevuto delega dal pubblico ministero Stefania Castaldi nelle indagini a riscontro tra il collaboratore Capasso e l’ omicidio di Attilio.
I due collaboratori hanno ben definito le dinamiche della scissione dai Di Lauro ed hanno posto entrambi l’attenzione sulla sete di potere di Cosimo e sulla sua personalità “guerrigliera” al punto di non voler contrattare alcuna separazione diplomatica di alcuni gruppi poi riunitisi nei cosiddetti scissionisti.
I due all’epoca dei fatti erano tra gli scissionisti e pertanto le loro informazioni non sono state dirette ma riferite da terzi.
Inoltre sono state acquisite le dichiarazioni del pentito Misso Giuseppe.
La prossima udienza è fissata per il 12 Dicembre.

Maria Romanò

Giustizia per Attilio…atto sesto

Mercoledì 19/10 si è svolta la sesta udienza a carico di Mario Buono, Cosimo e Marco Di Lauro per l’omicidio di Attilio.
Udienza “interlocutoria”, in cui è stato ascoltato il collaboratore di giustizia Giovanni Piana la cui testimonianza però, anche da quanto riferito dallo stesso avvocato della famiglia Romanò, non è stata considerata molto attendibile perchè basata su deduzioni e dichiarazioni fatte a lui da altri camorristi, attualmente detenuti. La difesa ha chiesto di poterli ascoltare in processo per verificare l’attendibilità della testimonianza del Piana.
Da quest’ultimo, comunque, è stato ribadito che l’oggetto della vendetta trasversale era il socio di Attilio in quanto parente di Pariante e che dunque l’omicidio è stato un errore, nonché che il mandante è Cosimo Di Lauro. Tale versione è stata confermata da più parti e sembra, al momento, l’unico punto fermo del processo.
Anche in questo caso, si deve fare i conti con una delle criticità tipiche dei processi di mafia: il quadro probatorio, imbastito sulla base di le testimonianze orali e spesso neanche dirette, necessita di essere corroborato da un’attenta valutazione dell’attendibilità delle “dichiarazioni incrociate” e da riscontri oggettivi, a discapito della “durata ragionevole” del processo.
Il Piana non sembra ritenuto molto affidabile anche perchè ha dimostrato in passato atteggiamenti ambigui e “doppiogiochisti”, facendo parte di due clan contemporaneamente.
Altro elemento degno di nota è che sono cadute le accuse a carico di Marco Di Lauro, che è uscito dal processo passando di fatto dallo status di latitante a quello di libero cittadino.
Il Pubblico Ministero ha chiesto di poter visionare nel dettaglio le motivazioni della Corte D’assise rispetto a questa decisione.
Prossima udienza fissata per il 23 novembre.

Stella Di Vincenzo

3 anime vere

Attilio…Attilio….Attilio!

Sono io, Attilio. Scusa se ti disturbo…lo so, è agosto e vorrai riposarti anche tu, ma ci tengo a presentarti due amici. Sono sicuro che sarai contento e che ti farà piacere conoscerli. Che bella la stanza dove sei adesso: due finestre grandi e luminose, ornate da vasi di fiori coloratissimi. Sui muri, appesi i segni del tuo amore per la vita: la foto di Nat, la tua chitarra, la maschera e la tuta da sub, la tua raccolta di poesie, il tuo libro preferito, “Il gabbiano Jonathan Livingston”. Un inno alla libertà. Vedo appese anche due foto di Maradona: una con la maglia del Napoli, sponsor “Buitoni”, nell’istante in cui la palla si stacca dal suo piede sinistro in una delle sue letali punizioni, probabilmente contro la mia Juve. L’altra con la maglia dell’Argentina, qui non ci si può confondere sulla partita: semifinale Mexico ’86, Argentina-Inghilterra, un fotogramma del gol del 2-1, quello “dei 12 tocchi”, il più bel gol della storia del calcio.  Attilio, non so se sei appassionato di calcio (non ne abbiamo mai parlato), ma sicuramente ami la poesia e nella storia c’è chi le poesie le ha scritte con la penna e chi con i piedi ed un pallone. Alberto, i tuoi occhi si sono illuminati davanti alle foto del “Pibe de Oro”. Eh sì, Attilio, perché per Alberto il calcio era più che una passione. Pensa che gli hanno dedicato pure uno stadio. Stadio di Mugnano, “Alberto Vallefuoco”. La sua storia è così drammaticamente simile alla tua. Anche Alberto ucciso, insieme a Rosario e Salvatore, due colleghi, per uno scambio di persone. Come direbbe suo papà Bruno, i suoi killer persone sbagliate, al posto sbagliato nel momento sbagliato. 24 anni. La stessa età a cui Maradona lasciava il Barça e veniva salutato al San Paolo da 70000 tifosi. Alberto, tu a quell’età salutavi la vita ed i tuoi affetti. 24 anni. Gli stessi che oggi ha Lionel Messi, altro argentino, altro numero 10, già annoverato nella lista dei “più forti di sempre” . Sai, Alberto, oggi il dibattito è già aperto: più forte Messi o Maradona? No, non dire niente. So già come reagiresti ad una simile “provocazione”: come tutti i tifosi del Napoli. Scuoteresti la testa con sdegno, come di fronte ad un reato di lesa maestà, gonfieresti il petto con orgoglio e risponderesti: “Maradona con la “albiceleste” ha vinto un mondiale, quasi due, da solo, mentre Messi con una delle più forti “seleccion” di sempre cos’ha vinto?”. Alberto, lo sai che oggi nell’organigramma della S.S. Napoli, compare il tuo nome? Il segretario della società è un tuo omonimo. Curioso. Sembra che il destino abbia voluto risarcire la tua memoria nel tuo amato mondo del calcio. Caro Alberto, ha proprio ragione tuo papà Bruno: vite come le tue non hanno bisogno di essere romanzate. Sono così belle nella loro semplicità. Normalità che diventa eroica a causa di questa assurda violenza. Eroico cercare di guadagnarsi da vivere e costruirsi un futuro ed una famiglia: lo è stato per te ed Attilio. Eroico accompagnare proprio figlio a casa da scuola. Lo è stato per te, Silvia. 11 giugno 1997. L’estate alle porte. Tu che stringi nella tua mano quella di tuo figlio Francesco, Alessandra che ti guarda dal balcone e ti saluta.“L’etica libera la bellezza”, ce lo siamo detti a Napoli nel 2009. Silvia, se riuscissimo a spiegare, narrare, rappresentare la bellezza della mano di tuo figlio che si rifugia nella tua, il sorriso di una figlia che vede la mamma ed il fratellino rincasare. Sarebbe l’antidoto più potente a quella assurda tempesta di 40 proiettili destinati a qualcun altro, che però hanno colpito mortalmente te. Eppure tu, Alessandra e Francesco, hai continuato ad accompagnarli a scuola. Mi è bastato poco per capirlo: dalla loro solarità, dalla loro generosità, dalla loro capacità di trasformare il dolore in speranza, dalla determinazione con cui hanno dato vita alla fondazione che porta il tuo nome. E poi dai loro occhi: quattro perle in cui sembra specchiarsi l’azzurro del Golfo di Napoli. Tuo marito, Lorenzo è così orgoglioso di loro. Quasi quanto lo sei tu.

 

“E c’è un filo sottile da ponente a levante

che mantiene l’anima di questa Napoli ansante

Questa anima striscia con offese sul fianco e

trascina con sé le sue anime vere, son
le anime pure”

 

Attilio, lo hai scritto tu in una delle tue poesie. E’ bello sapere che oggi tre anime vere si sono incontrate.

Giustizia per Attilio…atto quinto

Il 22 giugno scorso si è svolta la quinta udienza del processo a carico di Mario Buono, Cosimo e Marco Di Lauro per l’omicidio di Attilio.

Mario Buono, presunto esecutore materiale dell’omicidio, è stato trasferito nel carcere di Rebibbia ed è intervenuto all’udienza in videoconferenza.

La testimonianza del collaboratore di giustizia Maurizio Prestieri ha permesso di ricostruire le dinamiche interne ai clan che hanno portato alla faida scissionisti-Di Lauro: dinamiche connotate da efferatezza, spregiudicatezza ed assenza di regole, che portano all’uccisione di persone completamente estranee ai clan. In questo contesto devono essere inquadrati gli omicidi di Attilio e Gelsomina Verde, anche lei vittima innocente di quest’assurda violenza. Il Prestieri ha anche ricostruito l’ascesa al potere di Cosimo Di Lauro, accecato dalla sua ambizione a tal punto da non avere timore reverenziale neanche del padre Paolo. Rispetto all’omicidio di Attilio, il quadro probatorio a suo carico risulta al momento prevalentemente testimoniale

Scioccante la parte di deposizione in cui il collaboratore di giustizia ha raccontato con “disinvoltura” dei suoi venti omicidi: elementi di una quotidianità atroce, intrisa di violenza e disumanizzazione.

Prossima udienza: 19 ottobre. Noi continueremo a testimoniare.