« Io ho una certa pratica del mondo e di quella che diciamo l’umanità e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, chè mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi…E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…». Così scriveva Leonardo Sciascia nel romanzo “Il giorno della civetta” e nella sua Sicilia che lui descrive così bene, vive Ignazio Cutro’ che se fosse stato un personaggio di un suo romanzo sarebbe stato inserito nella categoria degli UOMINI, persone dotate di una percezione della realtà fuori dal comune. Tale percezione spesso deriva dalla loro capacità di comprendere e capire ciò che va oltre i sensi animaleschi dell’essere umano. Vedere oltre gli occhi, sentire oltre l’udito.
Cutrò, imprenditore siciliano è stato sottoposto, assieme alla famiglia, ad un programma speciale di protezione per aver denunciato i suoi estorsori, è entrato nel “vortice” della Giustizia quando gli inquirenti, intercettando alcune telefonate, scoprono che è costretto a sottostare allo scacco mafioso. Da lì la proposta di partecipare alle indagini, ma in assoluto segreto: nessuno saprà che lui sta parlando con gli inquirenti. Poco dopo c’è una fuga di notizie e la sua testimonianza diventa di pubblico dominio. Anche durante il successivo dibattimento, per paura delle ritorsioni, Ignazio nega alcuni aspetti, arrivando perfino ad essere indagato per falsa testimonianza. E’ lì che decide di abbandonare ogni cautela e di raccontare tutto, sia delle vessazioni mafiose, sia della vicenda giudiziaria che lo vede protagonista. Ignazio rimane solo ed isolato, il lavoro si dilegua, non riceve più commesse dai privati né tantomeno dal pubblico. La sua sicurezza oscilla dall’auto di scorta blindata con due uomini armati ad una semplice utilitaria di “latta”. Il primo attentato risale alla sera del 10 ottobre 1999 quando gli fu bruciata una pala meccanica in contrada Canfutino a Bivona (Ag) e Cutrò presentò la prima denuncia contro ignoti. Da quel momento è un susseguirsi di minacce e intimidazioni, fino al 2006 quando Cutrò decide di diventare un testimone di giustizia, denunciando i suoi estorsori. Grazie alla sua testimonianza è partito ad Agrigento uno dei più grossi processi a cosa nostra, “Face Off” nel quale vengono arrestati i fratelli Luigi, Marcello e Maurizio Panepinto e che porta nel gennaio 2011 ad un totale di 66 anni e mezzo di carcere. Tutto questo, condiziona però l’attività imprenditoriale di Cutrò, che non riceve più commesse. Il Confidi, il consorzio di garanzia collettiva dei fidi della Confindustria, che svolge attività di prestazione di garanzie per agevolare le imprese nell’accesso ai finanziamenti, nega la propria garanzia presso il Banco di Sicilia ad Ignazio, ridotto sul lastrico proprio a causa delle sue denunce antiracket. Citando quel diniego, il Banco di Sicilia a sua volta nega l’accesso al credito ad Ignazio, condannandolo al fallimento e addirittura al rischio di perdere anche la sua abitazione. A tutto ciò si aggiunge quella voce insistente quanto purtroppo attendibile, che ai piani alti della cosca abbiano già decretato l’omicidio di Ignazio. Nel giugno 2012, grazie all’intervento della Regione Siciliana riprende la propria attività imprenditoriale, ottenendo un contratto con il Consorzio per le Autostrade Siciliane. Ignazio Cutrò, l’imprenditore di Bivona che ha denunciato e fatto condannare gli estorsori mafiosi, autori degli attentati che tra il 1999 e il 2006 avevano danneggiato i mezzi della sua impresa edile, torna a lavorare. La commessa riguarda un lavoro di manutenzione e messa in sicurezza delle cabine elettriche che alimentano le gallerie di Petraro e Baglio sull’autostrada Palermo-Messina. E’ una vera e propria vittoria riportata dalla società civile nella guerra contro Cosa Nostra. La rinascita di un’azienda che dopo aver fronteggiato la mafia stava combattendo anche contro la burocrazia per ottenere il Durc e’, infatti, un segnale preciso alla criminalità organizzata. L’impresa di Cutrò, a causa dei danneggiamenti, aveva perso il 40% dei mezzi e tutti i lavori, non riuscendo più a pagare i contributi previdenziali e i tributi, fino ad accumulare una cartella esattoriale di 126 mila euro. Una situazione che gli impediva di ottenere il Durc e di partecipare ai bandi per le commesse pubbliche. L’odissea si e’ conclusa grazie all’intervento della Regione, che ha coperto parte del debito.“Grazie alla Regione siciliana, aveva detto l’imprenditore agrigentino in occasione della firma del contratto con il Cas, si apre un’era nuova per i testimoni di giustizia. Per la prima volta, si riesce a far rinascere un’azienda che era stata messa in ginocchio dalla mafia e a dare agli imprenditori che denunciano un forte segnale che le istituzioni sono al loro fianco. Come lui stesso dice: “Oggi non ha vinto Ignazio Cutrò. Hanno vinto i siciliani onesti che ogni giorno combattono contro l’illegalita’ e la mafia. Io e la mia famiglia abbiamo fatto la scelta di restare nella nostra terra. E’ una questione di dignità, la nostra terra va difesa”. Il 19 aprile è stato presentato lo sportello tematico antiracket e antiusura. “L’unione fa la forza e, se riusciamo a stare uniti, possiamo fare qualcosa di buono a vantaggio della nostra terra e a svantaggio della criminalità organizzata”.
La sua storia, aggiornata fino agli ultimissimi sviluppi, sarà raccontata in un libro dal titolo eloquente: “In culo alla mafia. Non cedere alla malavita si può”, edito da Aliberti, che sarà in tutte le librerie a Novembre. Il volume è scritto a quattro mani da Cutrò stesso e dal giornalista e scrittore siciliano Benny Calasanzio Borsellino. Il libro conterrà tutta la sua storia con alcuni stralci inediti, soprattutto sul versante delle indagini a cui ha contribuito in modo decisivo. “Sono felice di poter confermare la pubblicazione di questo libro che avrei sempre voluto scrivere, ma che aspettavo di poter chiudere con un lieto fine, che nel mio caso non poteva che essere il mio ritorno a fare l’imprenditore” ha detto Cutrò. Come ripete sempre lui, “quando attraverserò lo Stretto per lasciare la Sicilia non sarò io ad aver perso, ma lo Stato”.
La sua storia dimostra che non è vero che “La megghiu parola è chidda ca un si dici” ma che si può anzi si deve denunciare, per poter andare avanti a testa alta e con la schiena dritta. Ignazio ha avuto un coraggio doppio oltre a denunciare ha deciso di rimanere e lottare nella e per la sua terra, conoscere la sua storia deve servire a far si che i testimoni di giustizia non siano ombre nel buio e a testimoniare che è possibile vincere questa battaglia e sconfiggere i mezz’uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraquà.
Sonia Mascellino